Non crediamo che in Italia esistano attualmente le condizioni culturali e sociali per un ritorno alle classi differenziali. Crediamo, invece, sia penetrata nel tessuto sociale italiano l’idea che bambine e bambini, ragazze e ragazzi con le loro unicità abbiano il diritto di frequentare la scuola di tuttə.
Tuttavia, le spinte che vengono da più parti per creare forme ingiustificate di emarginazione avanzano. Sempre più nuove norme, invece di andare verso una migliore qualità dell’inclusione scolastica, spingono verso l’arretramento.
Gli ultimi provvedimenti del Governo fanno riflettere su tale rischio: la pretesa di risolvere il problema della specializzazione degli insegnanti di sostegno, diminuendo i crediti formativi da 60 a 30, ci sembra già un modo per dequalificare questa figura. Non solo, l’idea che la formazione degli insegnanti di sostegno possa avvenire attraverso l’INDIRE, le Università online o, peggio ancora, presso Università straniere che non possiedono i requisiti, ci fa sospettare che l’intento non sia di offrire una maggiore formazione agli insegnanti di sostegno e a tutti i docenti che hanno il diritto-dovere di farsi carico dell’educazione-istruzione anche dei soggetti disabili.
Se a questo si aggiunge che il Consiglio di Stato ha sentenziato che i Comuni, nel realizzare il progetto dell’inclusione, sono tenuti a sostenere la scuola, attraverso la figura dell’educatore, solo se hanno la disponibilità finanziaria, ci porta a pensare che il diritto all’istruzione delle persone con disabilità sia ritenuto non più obbligatorio, ma opzionale, anche se è sancito dalla nostra Costituzione. Un altro rischio che vediamo all’orizzonte è l’ipotesi che sia affidata ai genitori la possibilità di scegliere l’insegnante di sostegno per garantire la continuità didattica nei vari ordini di scuola, introducendo una sorta di privatizzazione dell’educazione dei disabili.
Ma c’è chi va oltre nell’idea che la separazione sia la strada maestra per istruire meglio gli scolari: l’esempio della dirigente di Bolzano che ha tentato di formare delle classi sulla base della lingua parlata dei ragazzi, come se tale abilità potesse produrre una loro migliore crescita culturale. Condividiamo a tal proposito le parole di Dario Ianes nell’interessante articolo, pubblicato il 9 settembre scorso su Domani, che, stigmatizzando tale operazione della dirigente scolastica, conclude affermando che:
“Rassicuriamo la dirigente, la pedagogia e la didattica hanno ormai accertato che una classe eterogenea, in termini di abilità, culture, lingue, ecc. produce migliori risultati non solo negli apprendimenti tradizionali (lettura, scrittura, calcolo, ecc.), ma in tanti altri apprendimenti e competenze sempre più importanti, quali competenze metacognitive, relazionali e cooperative, nonché socioemotive.”
La Segreteria nazionale MCE
© 2024 All rights reserved