Il 17 aprile 2019 è stato approvato in Commissione Cultura alla Camera (riuscendo a mettere d’accordo quasi tutti gli schieramenti politici) il testo unificato Introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica, elaborato da un comitato ristretto.
La bozza di legge, che probabilmente sarà discussa a Montecitorio a fine mese, prevede un insegnamento trasversale che va dalla conoscenza della Costituzione italiana a quella delle Istituzione Europee, senza dimenticare gli statuti regionali per promuovere i “princìpi di legalità, cittadinanza attiva e digitale, sostenibilità ambientale, diritto alla salute e al benessere della persona” e formare cittadini responsabili e attivi.
Nei temi da trattare indicati dal testo anche la storia della bandiera e dell’inno nazionale, l’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, l’educazione alla cittadinanza digitale. Saranno i consigli di classe a decidere quali temi approfondire.
Non si prevedono ore in più, né risorse aggiuntive da parte dello Stato, tranne 4 milioni di euro per il 2020 per la formazione dei docenti.
All’educazione civica, disciplina con valutazione periodica e finale, devono essere assegnate non meno di 33 ore annue da prevedere nel monte orario obbligatorio stabilito per le scuole. Vanno utilizzate le risorse dell’organico dell’autonomia (possibilmente nella secondaria affidandone l’insegnamento a docenti abilitati delle discipline giuridiche ed economiche), e individuato un docente coordinatore che le scuole potranno eventualmente compensare utilizzando il fondo per il miglioramento dell’offerta formativa.
Con l’approvazione del testo saranno emanate linee guida che indicheranno alle scuole specifici traguardi di competenze coerenti con le Indicazioni Nazionali, e con l’ultimo documento del comitato scientifico Indicazioni nazionali e nuovi scenari.
L’Educazione alla cittadinanza è presente nei documenti MIUR e si può dunque condividere l’obiettivo di insistere per lavorare alla formazione di “ cittadini consapevoli”. E la scuola è sicuramente l’istituzione principale e essenziale per l’educazione alla cittadinanza democratica. Ne fu consapevole l’allora Ministro dell’Istruzione Aldo Moro, quando nel 1958 introdusse, l’educazione civica a scuola. Tuttavia, non si può chiedere ad essa sola di ristabilire la coesione sociale ormai in crisi nella comunità nazionale e/o internazionale, quando la politica e le amministrazioni centrali e periferiche quotidianamente introducono elementi di divisione, separazione, emarginazione e conflitto nella società civile.
Far crescere personalità democratiche richiede il costante e paziente lavoro di promozione e costruzione di una coscienza di etica pubblica e di bene comune, oltre che della scuola, anche da parte della famiglia, dei territori, della politica e della comunicazione pubblica.
C’è da chiedere a questo governo quale etica pubblica vedono realizzata i/le bambini/i che assistono a esclusioni dal servizio mensa a scuola, a pranzi per alcuni con una scatoletta di tonno mentre altri mangiano il cibo cucinato? E quelli che vedono i loro compagni sparire dalla scuola da un giorno all’altro, perché sgombrati dagli SPAR o perché i loro campi, che sono la loro casa, vengono spazzati via dalle ruspe? E la violazioni dei diritti umani giustificate in base a esigenze di sicurezza nazionale? E l’uso di espressioni come “deve marcire in carcere” usata da rappresentanti dello Stato, che negano di fatto alcuni dei fondamentali principi della convivenza democratica: il riconoscimento della dignità della persona e la funzione rieducativa della pena? Non si configurano questi linguaggi come una profonda violazione dei diritti? Per non parlare dei diritti negati e delle tutele mancate e delle tante povertà educative che ancora segnano i destini delle bambine e dei bambini che attraversano la scuola.
Può la sola introduzione dell’educazione civica risolvere il compito della scuola di educare alla cittadinanza?
Non c’è dubbio che la conoscenza della Costituzione e del funzionamento delle istituzioni sia fondamentale per far crescere e qualificare la partecipazione attiva alla costruzione del processo democratico. Così come non c’è dubbio che l’educazione alla cittadinanza attiva debba necessariamente prevedere lo sviluppo di precise conoscenze e tematiche a partire dallo studio delle Carte dei diritti, nazionali e internazionali e investire in maniera puntuale l’impegno di tutti gli insegnanti nella costruzione del curricolo di scuola e di classe, con la predisposizione di tempi e azioni da prevedere e programmare per sviluppare competenze di cittadinanza.
Tuttavia, non potrà bastare introdurre una nuova disciplina se non si interviene per produrre un cambiamento sostanziale dei processi formativi con la consapevolezza che si educa un soggetto alla partecipazione, all’appartenenza alla comunità, alla democrazia solo se gli si permette di fare esperienza di riconoscimento, ascolto, rispetto, tutela dei suoi diritti. E anche così non basta. E’ necessario che venga educato a non considerare “normali” le esperienze di discriminazione, esclusione vissute e subite da altri.
Una delle invarianti pedagogiche di Freinet dice “Si prepara la democrazia di domani con la democrazia a scuola”.
La scuola/classe è un territorio collettivo in cui i valori della democrazia, la partecipazione attiva non devono essere solo insegnati, ma devono essere fatti principalmente vivere concretamente. Anche prevedendo specifici spazi/dispositivi di esperienza democratica, come il Consiglio di cooperazione, in ogni classe/scuola che potrebbe servire a costruire continuità dalla scuola dell’Infanzia alla secondaria di secondo grado intorno al curricolo di Educazione civica.
Ma soprattutto a scuola si educa alla democrazia sviluppando menti critiche, libere da pregiudizi, flessibili e creative, capaci di connettere pensiero e azione, immaginazione e presa sulla realtà e di apprendere la complessa arte della convivenza. Gustavo Zagrebelsky pone come fondamentale per educare allo spirito democratico ”l’atteggiamento sperimentale” in cui “convinzioni e conseguenze formano il campo di tensione che determina le norme dell’agire responsabile”.
La scuola educa alla democrazia attraverso la pratica costante del confronto, della ricerca, della costruzione e verifica del sapere, superando le divisioni rigide tra discipline e tra saperi, l’uso del solo libro di testo, di un’unica fonte del sapere. “L’ atteggiamento sperimentale dev’essere intrinseco in tutte le attività educative. Il docente deve far risultare costantemente che il sapere che propone ai discenti si è formato attraverso procedimenti controllati dal dibattito avvenuto nel tempo. È frutto di “ricerca” della verità, di una dialettica che rifiuta il principio dell’“autorità” precostituita. In tutto ciò è implicita una lezione di democrazia.
Per questo, nessuna educazione civica potrà produrre i risultati voluti se la scuola non sarà messa in condizione di superare le pratiche ancorate a una didattica ancora fortemente trasmissiva che di fatto continua a produrre selezione, dispersione scolastica, emarginazione, gerarchie, sottomissione. C’è bisogno di intervenire sulle disuguaglianze, mettere in discussione il modello meritocratico e le sue derive valutative, recuperare il valore sociale e culturale dell’educazione indipendentemente da quello economico, perché si può educare alla democrazia solo in una scuola in cui si pratichi una pedagogia dell’emancipazione per tutti.
La vera sfida educativa per formare cittadini capaci di esprimere più legalità, più partecipazione, più democrazia consiste nel garantire in ogni scuola l’istaurarsi di condizioni pedagogico-didattiche per un’effettiva alfabetizzazione culturale e sociale di tutti, non uno di meno, più attenzione alla comunicazione, alla relazione e all’integrazione sociale di ciascuno.
Una scuola capace di “offrire al soggetto le condizioni per superare la propria storia e impegnare la propria libertà (…) per far in modo che tutti si assumano la responsabilità dei loro atti e si “facciano opera di sè stessi’”.