Cara Maria

Due preziosi ricordi per te da G. Cavinato a nome delle compagne e dei compagni MCE e da M.T. Roda

Ciao Maria,

Impareggiabile compagna di tante lotte.

Hai lasciato tracce profonde nella scuola trevigiana con un impegno equamente distribuito fra la scuola il sindacato CGIL Scuola il Movimento di cooperazione educativa.

Ti si addiceva il ruolo di tessitrice paziente un po’ dietro le quinte ma il tuo tocco era inevitabilmente riconoscibile. I tanti convegni organizzati dal gruppo MCE di Treviso (dalla ‘Lampada di Aladino’ del 1990 e via via ‘L’isola che non c’è’, ‘Seconda stella a destra’, ‘I detti di Matteo’, ‘I mondi di Alice’, ‘I care’, ‘Il cammino si fa andando’, fino a ‘Nostalgia di futuro’ nel 2004.)portavano il segno della tua profonda conoscenza del MCE, del mondo della ricerca, del senso delle battaglie democratiche: per l’inclusione, per i minori stranieri, per una scuola del dialogo, della narrazione, della ricerca. Hai raccolto attorno a te un gruppo coeso e competente di giovani e meno giovani in cui ognuno trovava un suo spazio e poteva offrire un suo contributo, ci si trovasse al sindacato, all’Anfas o, di sera, a casa tua assieme a Matilde Graci  e a Cinzia Mion.

Non guidavi ma eri costantemente in movimento e profondamente radicata nel tuo istituto come nel tuo paese e nella città limitrofa. Ti si poteva trovare al sindacato regionale, al provinciale, a scuola, o dove veniva richiesto un tuo intervento. I punti di riferimento dove ti si poteva trovare più facilmente erano scuola e casa: perché il gruppo di Treviso vagava passando attraverso molte sedi senza stabilizzarsi ( non a caso  su un volantino che si intitolava ‘MCE-25 anni di ricerca’ era stato aggiunto ‘di una sede’). Molto spesso ci si trovava anche di pomeriggio a casa tua che era l’effettiva sede del gruppo.

Dietro una autentica, non simulata modestia e autoironia, sapevi far funzionare quei meccanismi delicati che sono la co-progettazione, l’ascolto, la  condivisione, la suddivisione di compiti. I progetti che hai saputo innestare nella tua scuola come psicopedagogista, ‘KIM-Keep in mind’, ‘La panchina’, ‘Mo-mo = motivato motivante)hanno costituito presidi di diritti e si sono configurati come buone pratiche. 

Dagli anni della contestazione con le risonanze nel MCE che diedero origine al gruppo ‘Scuola e sistema’ che approfondiva l’analisi sociopolitica  e nel contempo collaborava con il sindacato per la mostra ‘L’ape operaia’ sui contenuti dei libri di testo  agli anni delle riforme, la legge 517, la programmazione, la  valutazione formativa, l’integrazione, agli anni delle speranze con i governi dell’Ulivo (la riforma dei cicli, i saperi essenziali)  fino alle controriforme Moratti e Gelmini tu sei sempre stata presente e tenuto dritta la barra di un piccolo ma incisivo movimento.

Non possiamo che rimpiangere quei tempi e mantenere il testimone. La scuola attiva e democratica ha un grande debito nei tuoi confronti.

Un video per riascoltare della sua esperienza scolastica di militanza.

Maria Marconi

La donna del “Che Fare”. Il Movimento di Cooperazione educativa, la CGIL scuola, il territorio trevigiano e le sue associazioni pedagogico culturali

Maria è così, ne voglio parlare al presente; il passato tende ad allontanarci dalla realtà e sminuirla.

La memoria è un esercizio attivo per restituire, mettere in circolo, rinnovare.

Maria è un motorino d’avviamento di una macchina che non va mai in panne perché l’impulso a partire arriva costantemente. Una maestra di campagna nata in una città che più che da “Signori e signore”, sarebbe da definire di “sioretti e siorette”.  Un eterno cicalare sotto un cielo di benpensanti propensi volentieri a sposare la doppia morale. Da noi si direbbe un po’ “basa banchi” , un po’ “ciava santi”. Pronti ad una religiosità di superficie e a gabbare i santi.

Ma Maria è a suo agio ovunque. O così ha la sapienza di mostrare.

Usa il suo fare sornione, alte dosi di ironia, un ricorso costante alla narrazione per smontare i castelli fatti in aria, i processi alle streghe sempre dietro l’angolo, a scuola e fuori.

Sul banco delle imputate finisce presto per aver impartito lezioni di educazione sessuale che altro non erano che l’illustrazione di racconti dei figli dei contadini che narravano in classe come era nato il vitello nella loro stalla.

La scuola in quegli anni formicolava di idee innovatrici, fine anni ’60, per tutto il decennio dei ’70. Una eccellente prospettiva per abbattere muri e barriere che relegavano gli ultimi sempre al solito posto cristallizzando la loro impossibilità di farcela.

Le tecniche Freinet cominciavano a prendere piede un po’ ovunque. Alunne ed alunni studiano la disposizione degli spazi in modo che siano consoni al lavoro da svolgere. I banchi si possono mettere ad isole, a ferro di cavallo. Architetture inedite. Regolarmente appuntate da Maria nelle sue cronache di maestra e sistematicamente e graziosamente illustrate nei disegni dagli scolari/e.

Si fanno foto e si stampano a scuola, si fanno dei bucati con i negativi appesi agli spaghi messi ad asciugare. Ogni giorno c’è da convincere colleghi e genitori che si impara anche così. Ancora vigeva la firma ispettiva ed il giudizio di merito ( a cui siamo per altro tornati) . Almeno questo Maria se l’è risparmiato.

Il testo libero racconta come alunne ed alunni hanno visto il festival di Sanremo. “Chi non lavora non fa l’amore!” cantava il molleggiato: 1970;  alunne ed alunni sono colpiti più che dalle parole da come si muove il cantante, ad un certo punto perde persino il microfono, inconcepibile! Annotano. Maria conserva ed archivia. Una instancabile formica. Non si butta nulla, tutti sono piccoli tesori tracce di come si muovono i pensieri nelle teste degli scolari e scolare. Le informazioni vengono immagazzinate. I processi mentali si mostrano nel loro farsi e disfarsi. Wygotsky e Piaget si traducono in processi osservabili. Non tutti arrivano al risultato nello stesso tempo ed allo stesso modo. Il libro di testo perde la sua aurea predominanza e, un po’ come nelle aule di Mario Lodi, entrano altri materiali…nascono le biblioteche di classe. Dal capoclasse si passa agli addetti ai lavori. E Maria porta a scuola un po’ tutto perché tutto è libro; le foglie, i sassi (materiali con cui per altro adorna gli angoli della sua casa). Tutto serve a pensare. E poi il libro costa. Maria è convinta che la scuola sia un diritto primario, scritto in Costituzione  ed in quanto tale non deve costare una lira, la scuola deve essere gratuita. E si batte perché questa parola d’ordine si espanda nei luoghi in cui si discute; nei consigli di zona, nei cineforum, nelle assemblee con i genitori. Non si altera quasi mai, “santa pace” ma il calderone bolliva e non eravamo in pace. Maria vuole di più, non si arrende; ma volere di più significa essere in molti, costruire una forza consapevole ; il metalmeccanico della Galvanica della Zoppas (oggi Wirpol) deve poter decidere e contrattare non solo sui suoi turni di lavoro ma anche sul destino della scuola. L’organizzazione che può dar fiato a questo cammino costellato di ostacoli e di prospettive tutte da pensare e costruire è il sindacato. Per prima la FIOM raccoglie la sfida, dialoga con la scuola. Maria non si allontana dal suo essere anzitutto Maestra ma capisce che il dentro ed il fuori della scuola si devono parlare. Nelle oceaniche assemblee sparisce accanto alla mole di Andrea Dapporto. Col segretario della vecchia camera del lavoro Cibin il rapporto non è idilliaco. Lui Di Vittoriano è convinto che l’asse sia il vecchio operaio massa e le vertenze s’hanno da fare con i padroni. La scuola vaneggia un po’. Maria non si arrende e prova come sia duro calle salire e scendere la scale di Palazzo Filodrammatici.

Al pianerottolo il figlio Matteo gioca con le sue macchinine perché Maria viaggia sempre con due borse : “quea dee carte” e “quea de Matteo”.

Anche Cibin non pensava che uno dei sogni di Maria sarebbe stato presto realtà. Per opera della Falcucci ministra della Democrazia Cristiana parte prima un’indagine sulla situazione italiana circa la presenza di alunni con disabilità e poi la norma per l’integrazione e l’inserimento in classe in presenza del docente di sostegno che viene assegnato alla classe (1975). Una piccola rivoluzione che Maria difende con tutta se stessa facendone uno dei perni di riflessione pedagogico/sociale.

Ribaltare l’ottica del concetto di normalità. Aprire alla formazione, creare strutture territoriali attente. Una bandiera che Maria non lascia mai a casa. Ascolta, affianca, segue.

Come i gatti non si indovina mai quante vite abbia, e quante anime: quella originaria di maestra, quella di sindacalista, quella di psicopedagogista e formatrice. 

Vorremmo che smetta di fumare ma è come chiederle la luna sul pozzo.

In tutte le situazioni conviviali scherza e racconta ..i bersagli sono spesso i nemici su cui ironizza ma anche altro. Una sera è presente una compagna brasiliana del Movimento Freinet di San Paolo, Maria si siede accanto e si presenta ..”Maria Bongiovanni Marconi”,  ci si confronta un po’ sulle lingue parlate , poi Maria si avventura: “ io Marconi e tu” ? e M Lucia : “Dos Santos”. Maria gioca con la lingua e risponde …”voi solo  dos santos”..noi in Italia moltissimi santi ..M Lucia ride di gusto.

Ma non è mai paga Maria. Le tecniche Freinet che vedono nella metodologia della ricerca il fulcro dell’indagare la realtà per interpretarla e codificarne le letture fino a formalizzarle spinge ad una formazione che non può prescindere da criteri epistemologici e di storia delle scienze.

Ma che ne facciamo delle discipline e dell’interdisciplinarietà?

Alunni/e non pensano per disciplina, pensano e basta; e i saperi? come li andiamo a costruire? Come li costruiscono loro?

Siamo negli anni ’90 e Treviso diventa un po’ la capitale pedagogica del MCE per una stagione in cui sono chiamati all’appello prestigiosi docenti universitari a rispondere alle nostre mille questioni.

Un gruppo di una dozzina di docenti si organizza in Comitato organizzatore e realizzano anno dopo anno una decina di convegni sul cuore dei processi di apprendimento, della struttura delle discipline, della trasmissione o costruzione dei saperi…sconfiniamo fino a toccare le neuroscienze e le scienze sociali. Centinaia di iscritti. Maria era la cuoca di questi manicaretti e, ci portava dentro alle trappole di lavori di allestimento di questi eventi giganteschi che non ci facevano dormire di notte, in cui nulla era lasciato al caso. E noi interpretavamo gli attori interdisciplinari di queste enormi opportunità formative occupandoci dell’ospitalità dei relatori, delle pulizie dei locali, delle luci e dei microfoni, ma soprattutto delle trascrizione degli atti che talora affidavamo a qualche studente non senza rischio perché una volta ci è toccato vedere che il nome di Gregory Bateson venne ingloriosamente reso con Gregorio Lo Pezzo.

Sono passati da Treviso docenti ed intellettuali quali: Clotilde Pontecorvo (Roma), Marcello Cini (Roma), più volte Andrea Canevaro (Bologna), Paola Rodari (Trieste) , Pierangelo Montorfano (Milano) , Fiorenzo Alfieri (Torino) , Valentino Parlato (Roma) , Giulio Mezzetti (Firenze) , Marina Sbisà (Trieste), Riccardo Massa (Milano) , Ortensia Mele (Roma) , Raffaele Josa (Ravenna) , Benedetto Vertecchi (Roma) , Silvia Caravita (Roma) , Mauro Palma (Roma) , Piero Boscolo (Padova) , Matilde Vicentini (Messina) ,  Paola Falteri (Perugia) , Carla Grazzini Hoffman (Firenze) , Vittorio Severi (Bologna) , Alberto Bargellini (Pisa) , Riccardo Luccio (Trieste) , Carlo Bernardini (Roma)  e molti, molti altri   

Anzitutto c’era l’accoglienza; un anno la manciata di terra, un anno i semi da metterci, un anno i fagioli, un anno dei segnalibri speciali o dei quaderni personalizzati .. e poi non bastassero i rompicapi delle strutture disciplinari dovevamo pensare al presente/regalo per i relatori/trici…

A noi Maria lascia come in un prezioso baule pieno di tesori, il suo archivio personale, un lascito generoso in cui molte di noi si possono osservare come in uno specchio, uno specchio che accomuna noi e Maria. Accomuna lo spirito indomito e le molte notti spese a tentar di cambiar la scuola. I segni rimangono e Maria lo sa. Forse il mondo va da un’altra parte ma i segni restano e Maria lo ha sempre saputo.

Un anno, al convegno del “Mago di Oz”, regalammo un caleidoscopio, fu così che i relatori si sono incantati a girarlo tra le dita come un binocolo in cerca di mondi altri e migliori, Maria scoppia in una risata soddisfatta per aver indovinato il regalo, un regalo per loro e per noi.

Grazie Maria per il tuo caleidoscopio i mondi d’incanto ed anche i mondi che non vorremmo.