SORVEGLIARE E PUNIRE?

a cura del Gruppo 4 Passi Valutazione

La Proposta di legge C. 1830 del governo “Revisione della disciplina in materia di valutazione delle studentesse e degli studenti, di tutela dell’autorevolezza del personale scolastico nonché di indirizzi scolastici differenziati” che, approvata in Senato il 17 aprile, è in discussione alla Camera dei Deputati. 

La proposta che, se approvata, dovrebbe andare in vigore dall’anno scolastico 2025/26,

  • introduce giudizi sintetici nella valutazione della scuola primaria. Una modifica che altera in modo regressivo l’impostazione data alla valutazione dall’O.M. 172/2020 e interromperà, senza nessuna motivazione pedagogica, i percorsi di ricerca e di sperimentazione avviati dalle scuole che stavano producendo dei cambiamenti significativi nella cultura della valutazione e nelle pratiche didattiche;

  • istituisce il passaggio da un’idea di disciplina funzionale all’educazione del soggetto a quella di disciplina come strumento per sanzionare, introducendo il ritorno al voto di condotta in decimi e il suo effetto sull’ammissione alla classe successiva, all’esame di Stato e sull’attribuzione del massimo punteggio previsto per i crediti scolastici. 

Ritorna l’idea di una scala ordinale lungo i cui gradini ‘collocare’ gli alunni; da ottimo a gravemente insufficiente ‘correlati ai livelli di apprendimento’. Ministro e apparato motivano la regressione con la necessaria preparazione alle sfide e alle incertezze che la vita adulta riserva. L’altra motivazione è il bisogno di chiarezza e immediatezza delle famiglie ‘disorientate’ dalle fumisterie introdotte con l’OM 172. Chiarezza per dare un segnale a genitori, pressati da molte incombenze, senza tempo di soffermarsi a pensare pensieri complessi. Richiamo a un controllo da parte delle famiglie senza indulgere a eccessive considerazioni sulla multidimensionalità dei fenomeni di apprendimento e sulle molteplici sfaccettature della personalità. Questi giudizi non sono voti, dice il ministro. Ma svolgono la stessa funzione dei voti (sono già stati più volte usati nel corso della storia della nostra scuola in tale senso), consentono di sapere ‘con immediatezza’ chi è bravo e chi no, chi è diligente e chi no, chi rientra in una ‘norma’ (etichetta) e chi no. Consentirà a mamme ansiose in gara per i risultati e babbi competitivi (“prima nostro figlio”) di avere chiara la gerarchia, che i bambini con opportuni rinforzi introietteranno inevitabilmente. Terzo argomento, liberare gli insegnanti da eccessivi oneri burocratici nella stesura del documento di valutazione (tornato alla denominazione ‘pagella’). La valutazione è ‘un’operazione globale, costante e formativa’ e ‘non può ridursi ad un mero esercizio di calcolo incentrato sui quiz con le crocette’ (lettera a Repubblica del 28 aprile di chi? ) e ridotta ad un aggettivo.

Per quanto riguarda la parte del decreto relativa alla condotta segnaliamo la reintroduzione del voto in condotta espresso in decimi nelle scuole secondarie di primo grado. Tale voto farà media con quelli delle altre discipline. La media del cinque farà scattare in automatico la bocciatura. Criticando fortemente queste decisioni, ricordiamo quanto afferma l’articolo 4 dello Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria (DPR 24 giugno 1998, n. 249):

“La responsabilità disciplinare è personale. Nessuno può essere sottoposto a sanzioni disciplinari senza essere stato prima invitato ad esporre le proprie ragioni. Nessuna infrazione disciplinare connessa al comportamento può influire sulla valutazione del profitto.”   

Inoltre, per quanto riguarda la scuola secondaria di secondo grado, il decreto prevede che durante il triennio non possano essere assegnati i crediti scolastici per l’esame di maturità se il voto in condotta è inferiore a nove. Prendiamo ad esempio il caso di una studentessa che ha avuto un comportamento non idoneo secondo il consiglio di classe e ha preso otto in condotta in terza e in quarta. Immaginiamo che, arrivata al quinto anno, la studentessa inizi a comprendere le proprie mancanze e a dimostrare un comportamento particolarmente esemplare. Secondo la logica del decreto il suo voto di maturità sarebbe comunque penalizzato, a prescindere dai suoi sforzi di miglioramento. Una scuola che vuole davvero promuovere il cambiamento dovrebbe incentivare i comportamenti virtuosi e non ricorrere a meccanismi punitivi, peraltro già adottati in passato (si pensi ad esempio alla riforma Gelmini) senza ottenere i risultati attesi.

Per quanto sia comprensibile l’esigenza di affrontare i comportamenti sfidanti e gli episodi di violenza, riteniamo che le scelte del governo non incoraggino l’assunzione di responsabilità personale da parte degli studenti. Piuttosto, le motivazioni per le quali si sarebbe chiamati ad adottare un comportamento maturo sono da ricondursi sempre a una logica di premi e punizioni, la stessa che è sottintesa nell’introduzione dei giudizi sintetici alla scuola primaria. 

Ci chiediamo quali indicazioni possa offrire a uno studente l’uso di un numero su scala decimale, se non quello di classificarlo rispetto ai propri compagni di classe. Di certo tale strumento non riesce ad esprimere il valore dei comportamenti positivi né tantomeno del merito, nonostante il cambio di nome del Ministero. 

Cinquant’anni fa Mario Lodi scrisse un testo nel quale afferma che i voti di due o più docenti relativi al comportamento di uno studente possono avere significati tra loro molto differenti, talvolta addirittura contrari. Infatti, “c’è chi premia con un bel voto [lo studente] che sta zitto e ubbidiente (perché magari ha paura) e c’è, invece, chi considera buon comportamento quello [dello studente] che discute, dà tono alla vita della classe, magari si ribella in certi casi, per un giusto motivo” (in M. Lodi, Le pagelle, Cooperazione Educativa, vol. 63, n. 2, 2014).

Ricerche recenti (es. Triventi, 2019) ci mostrano come il voto non sia soltanto influenzato dai pregiudizi e dagli stereotipi di un docente, ma comporti anche degli svantaggi notevoli per i soggetti più deboli, in particolare per gli studenti di origine straniera. Con la reintroduzione del voto in condotta alla scuola secondaria di primo grado si sceglie di adottare uno strumento fortemente soggettivo, che alimenta e riproduce le ingiustizie già esistenti all’interno del tessuto sociale. Inoltre, tramite l’utilizzo del voto numerico la scuola rinuncia alla narrazione, alla possibilità di descrivere la complessità dei processi che avvengono al suo interno. 

Di fronte a questa incapacità di descrivere la realtà la scuola ha il dovere di reagire, di dire chiaramente che cosa sia un comportamento responsabile e maturo, cosa che il decreto di fatto non fa. Ma ciò non può essere fatto se non tramite il dialogo interno che ogni giorno dovrebbe animare il dibattito scolastico e vedere insegnanti e studenti promotori di cambiamento, non soltanto passivi recettori di norme calate dall’alto. 

Questa proposta di legge inquadra la disciplina a scuola nel paradigma della legalità, esprimendo una logica del ‘punire per adattare’. Ragionare in termini di inasprimento delle sanzioni per i singoli significa ignorare le dinamiche complesse alla base dei problemi di violenza, ciò che è avvenuto prima, nonché gli elementi di contesto. Negli anni, sono stati condotti numerosi programmi basati su evidenze, utilizzando strumenti riconosciuti come efficaci a livello nazionale e internazionale. Nessuno di questi programmi prevede che il solo inasprimento delle sanzioni sia la soluzione al problema. Le meta analisi (Torre, 2019) hanno evidenziato quali siano i fattori di efficacia:

  • La scelta di strategie educative e strumenti adeguati alla fase evolutiva dei minori e alle specifiche forme di violenza.
  • La definizione di target e strategie in base al livello di diffusione della violenza, compreso il cyberbullismo.
  • La contestualizzazione degli interventi in funzione del clima scolastico.
  • La costruzione di reti educative che coinvolgano insegnanti, psicologi, mediatori, ecc.
  • Il coinvolgimento attivo delle famiglie.
  • La partecipazione attiva degli studenti, adeguata alla loro età.
  • La formazione di tutti gli adulti che operano nel contesto scolastico.
  • L’uso di strumenti adeguati al monitoraggio e alla valutazione.

È difficile comprendere come l’inasprimento delle sanzioni possa di per sé ridurre i livelli di violenza scolastica. Riconoscere e rispettare le regole di convivenza, controllare e differire le pulsioni, attraversare il conflitto in modo non violento, esprimere comportamenti di rispetto, solidarietà sono conoscenze e abilità che rientrano nel compito istituzionale della scuola, chiamata a liberare i soggetti dai condizionamenti negativi, dalla competitività, dall’individualismo, dalle discriminazioni e dalle violenze.  Un’opera che richiede una pedagogia attenta alla centralità del soggetto e all’uso di pratiche didattiche inclusive, cooperative in cui bambini e ragazzi possano essere educati alla convivenza e allo sviluppo di competenze di cittadinanza. 

Quindi per il comportamento, come per ogni altro apprendimento, la valutazione rappresenta una base su cui lavorare per migliorare i risultati, per orientare e motivare al cambiamento. Dovrebbe quindi assumere per il soggetto in crescita un valore formativo e non una connotazione punitiva.

La necessaria “autorevolezza dei docenti”, rivendicata dal ministro, viene impedita proprio da questa proposta di legge. Va rispettata la discrezionalità degli insegnanti del consiglio di classe nel decidere il voto in condotta e le sue conseguenze sulla promozione e l’ammissione agli esami, senza introdurre degli automatismi che risulterebbero lesivi della loro autorevolezza. A tal proposito, ricordiamo che lo stesso Statuto degli studenti e delle studentesse (L. 249 – Art. 4.2) dichiara che le infrazioni disciplinari connesse al comportamento non possono condizionare la valutazione del profitto. Non si può pensare di recuperare l’autorità̀ degli insegnanti e dei dirigenti nella loro funzione pubblica, né di far crescere il riconoscimento sociale del loro ruolo solo aumentando i provvedimenti repressivi nei confronti degli studenti e dei genitori. L’autorevolezza e il loro ruolo sociale si potranno recuperare pienamente se si qualifica la loro professione attraverso una formazione iniziale e in servizio adeguata, se le modalità di reclutamento siano coerenti con lo scopo di accertare le competenze necessarie per svolgere questi ruoli; se si semplifica e si migliora l’organizzazione del lavoro, a partire dalla sicurezza degli organici e da dimensioni “sostenibili” degli istituti che le scelte recenti rispetto al dimensionamento di fatto contraddicono.

L’educazione alla cittadinanza non si ottiene né con moralismi, né con punizioni. “Un regime scolastico autoritario non può formare cittadini democratici” (Le invarianti pedagogiche, C. Freinet). L’effetto che si ottiene è coercitivo: incide sull’adattamento temporaneo e solo a quel contesto, ma non produce una comprensione profonda e una trasformazione del soggetto tale da adeguarne i comportamenti in tutti i contesti di vita. A tal fine sarebbe necessario promuovere una formazione in servizio obbligatoria per i docenti di ogni ordine e grado su pratiche educativo-didattiche come quelle cooperative che, sin dai primi anni dell’esperienza scolastica, educhino gli alunni ad auto-regolare i propri comportamenti, a riconoscere il valore del gruppo, a sviluppare autonomia, consapevolezza, metacognizione.

Al contrario, più che interventi che cadono dall’alto e limitano l’autonomia di insegnanti e scuole, andrebbero maggiormente valorizzati gli strumenti dell’autonomia scolastica, come ad esempio il patto educativo di corresponsabilità (esteso con la legge 92/2019 anche alla scuola primaria) che costruisce una condivisione tra diritti e doveri nel rapporto tra istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie. Andrebbero promosse azioni mirate per promuovere un maggior investimento da parte delle scuole su questo documento, facendolo uscire da una dimensione per lo più burocratica. Piuttosto che concentrare l’attenzione sul voto in condotta, è necessario intervenire su alcune premesse pedagogiche e strutturali del fare scuola: 

  • prevedere spazi ad inizio del percorso scolastico, anche prima dell’avvio delle attività didattiche, per l’incontro tra scuola, studenti e famiglie, per gettare le basi per un dialogo costruttivo, consolidare il contratto pedagogico e l’alleanza scuola famiglia;
  • formare tutti gli/le insegnanti sia nella fase iniziale che in quella in servizio (rendendo questa obbligatoria) alle pratiche didattiche attive, socio-costruttive e cooperative. Pratiche che dovrebbero rappresentare un asse formativo su cui investire già dalla scuola dell’infanzia sino alla secondaria di secondo grado per educare alla democrazia con la democrazia; 
  • esortare le scuole a inserire nei PTOF e nei piani di miglioramento esperienze come l’assemblea di classe, come dispositivo regolatore dell’educazione alla partecipazione, e il consiglio degli studenti di classe e di scuola; 
  • rilanciare e qualificare la partecipazione di docenti, studenti, genitori valorizzando gli strumenti di gestione democratica esistenti, gli OO.CC. 

I piani regionali di dimensionamento scolastico, con la riduzione del numero dei dirigenti scolastici e direttori dei servizi amministrativi e il conseguente accorpamento delle scuole, imporranno ai collegi dei docenti di ricostituirsi, trovare nuovi equilibri, ricominciare nuove storie, percorsi unitari pedagogico-didattici. In una realtà complessa come la scuola, già fortemente in crisi, il rischio è che a fronte di istituti con un elevato numero di classi, divisi in più plessi, sparsi tra più comuni e municipalità il lavoro di insegnanti e dirigenti sarà ancora più burocratizzato, stressante, e i collegi dei docenti troveranno ancora più difficoltà a farsi “comunità educante” a scuola e in dialogo con gli studenti, le famiglie e il territorio. In un contesto di vita scolastica sottoposto a nuove pressioni, nuovi e più problemi, si creerà un clima per niente favorevole alla costruzione di quel necessario “benessere a scuola” elemento centrale per prevenire le trasgressioni.

Riuscirà la scuola con uno scatto d’orgoglio e una seria analisi delle ricadute a rifiutare il ritorno a un passato di privilegi, selezioni e discriminazioni?