Cooperazione: un significato condiviso nel MCE?

EDITORIALE NEWSLETTER – ottobre 2023

a cura di Donatella Merlo (segretaria nazionale MCE)

La nostra associazione è nata nel 1951 come Cooperativa della Tipografia a scuola. Qualche anno dopo il nome è stato cambiato in quello che è attualmente: Movimento di Cooperazione Educativa. Entrando nel merito di ciò che i compagni e le compagne del Movimento fanno ogni giorno nella scuola, in quella di oggi, la pratica delle tecniche Freinet ci obbliga a ragionare sulla “classe cooperativa”.

Le parole “cooperativa” e “cooperazione” fanno parte quindi del linguaggio comune del Movimento.

Ma che significato diamo concretamente a questi termini? Quanto tempo è che non ci interroghiamo su quanto siamo effettivamente cooperativi nel nostro agire, in particolare dentro il Movimento? Se la cooperazione deve essere parte della tradizione del maestro MCE quanto ci impegniamo perché questa parola abbia un significato in termini di modi di pensare e di pratiche effettive?

Cooperazione implica lavorare insieme per raggiungere uno scopo comune. I nostri gruppi si definiscono cooperativi in questo senso. Cooperare vuol dire anche che non esiste una figura che sovrasta le altre, che impone, in modo più o meno velato, il proprio modo di vedere le cose, il proprio pensiero, significa garantire uno spazio di parola per tutti, giovani e vecchi, leader e non leader. Sappiamo che la figura del leader è importante per la crescita del gruppo ma serve anche che il leader si sappia mettere da parte, che si metta in ascolto degli altri membri del gruppo, proprio per svolgere al meglio la sua necessaria funzione.
Siamo cooperativi se le idee, i valori di cui ci facciamo portatori all’esterno sono il risultato di una vera ricerca collettiva, di un ascolto e di uno scambio continuo e alla pari fra le persone.
Ed è per questo che le idee non sono fisse, ma in continuo mutamento.
È questo modo “collettivo” di agire e di costruire pensieri nuovi che ci fa essere “movimento”. La fissità è il contrario del Movimento. Rinnovarsi continuamente perché si guarda al mondoe alle persone così come sono oggi è implicito, dovrebbe essere un fatto comune. Così come il conflitto come base per costruire nuove conoscenze e quindi evolversi.
Allora: quanto siamo veramente cooperativi? Quanto il nostro agire nel Movimento ha come strumenti quelli della cooperazione? Gli stessi che portiamo nelle nostre classi per renderle ”classi cooperative”?
Formalmente è tutto perfetto: abbiamo la nostra assemblea “annuale” e il nostro “coordinamento” come strumenti di democrazia, che svolgono la loro funzione se servono veramente a dare voce a tutto il Movimento. Allora perché, proprio in queste occasioni, il pensiero nuovo stenta a farsi spazio e i momenti che dovrebbero essere la manifestazione di questa capacità di cooperare per costruirlo tutti insieme questo pensiero nuovo, diventano spesso dialoghi e non confronto vivo in cui tutti, soprattutto i più giovani, fanno fatica ad inserirsi? La difficoltà della cooperazione, in questo e in altri momenti, si scontra proprio contro gli atteggiamenti di chi propone le proprie idee dando per scontato che debbano essere universali e non negoziabili.
Queste sono le riflessioni che sono sorte spontaneamente anche nella segreteria del dopo coordinamento e su cui ci dovremmo interrogare tutti.
Che cosa deve cambiare nella gestione di questi momenti collettivi perché la parola “cooperare” riacquisti il suo significato originario?
Io spero che almeno nei gruppi territoriali le cose funzionino in modo diverso. Che ci siano spazi di parola che consentono di condividere, di narrarsi, di portare esperienze dirette di quanto, con fatica e spesso in solitudine, molti insegnanti ed educatori del Movimento propongono e realizzano nei loro luoghi di lavoro, nel tentativo di contaminare i colleghi e piano piano anche tutta la scuola. Allora è il timore dei “grandi” che ci frena o la disabitudine a usare la parola per esporre il proprio pensiero, per dire le cose guardando in faccia le persone con cui non si è d’accordo? Quanto influiscono su questo le nostre esperienze precedenti e quanto siamo diventati dipendenti da un modo di comunicare fatto di messaggi
brevi in cui spesso il contraddittorio non c’è perché si resta chiusi nel proprio gruppo? Siamo ancora capaci di sostenere il nostro punto di vista articolando in modo chiaro i nostri ragionamenti? Ci interessa farlo? Nel coordinamento si è parlato di militanza: comunicare, esprimere il proprio pensiero, anche se non allineato, è parte di questa militanza. Saper argomentare è una competenza necessaria.
Tornando alla cooperativa di classe e provando ad assimilare la nostra assemblea a quella che molti di noi hanno introdotto nelle loro scuole come primo strumento di democrazia, poniamo come punto fermo che le stesse regole condivise con i bambini e gli adolescenti siano rispettate nei nostri momenti assembleari: interventi brevi e centrati sullo scopo, rispetto dei turni di parola e dei dispositivi che rendono concreta e diffusa la partecipazione… e, come base, la volontà di far funzionare la “classe” perché questo si avveri.
Un altro elemento che deve far parte del significato della parola “cooperazione” è lo scambio, la comunicazione. Abbiamo fatto in modo che tutti i gruppi disponessero di strumenti adatti a facilitare la comunicazione che dovrebbe avvenire a tutti i livelli, non solo tra gruppi cooperativi e segreteria ma anche dei gruppi cooperativi tra di loro, i territoriali coni territoriali, i territoriali con i nazionali.
Qui entrano in gioco altre problematiche su cui vale la pena riflettere tutti insieme.
Ultimamente mi sono chiesta spesso che cosa fa di un gruppo di ricerca un gruppo nazionale. Se un gruppo lavora in un campo territoriale ristretto e condivide attività belle e interessanti ma centrate su un territorio specifico, non cura la diffusione in altri territori e non si apre agli apporti che potrebbero dare persone lontane dalla “sede” del gruppo, si può definire come “gruppo nazionale”? Quanto ci deve essere di apertura e coinvolgimento a livello globale per dirsi “gruppo nazionale”? Quanto si cura questo aspetto? Gli stage residenziali possono ancora coinvolgere le persone, hanno ancora un ruolo nel Movimento di oggi? Riconoscersi nella ricerca di un gruppo implica la conoscenza e questa la comunicazione. Se vogliamo che la ricerca dei gruppi nazionali rifluisca in tutto il movimento, che i gruppi non marcino solo su sentieri consolidati e spesso escludenti, quale può essere l’antidoto? Forse riappropriarsi della capacità di “studiare” insieme? Di prendere in mano libri nuovi e confrontarli con le proprie esperienze? Sperimentare strade diverse, mai battute, per poterne valutare l’efficacia?
Per essere credibili come gruppo nazionale ci si deve occupare di tutto il Movimento. Si devono trovare i modi per diffondere il proprio pensiero, per confrontarsi. Le Giornate di studio nazionali che abbiamo proposto come strumento per costruire questa circolarità si devono realizzare con l’apporto di tutti e con la consapevolezza che se non si parte da qualcosa di concreto, di visibile il Movimento implode.
Cooperazione è anche questo: cogliere un problema e cercare tutti insieme le strade per superarlo, affrontare le “scomodità”, le provvisorietà e le precarietà, riconoscere gli errori e trovare modi di affrontarli insieme per far sì che la ricerca di questi modi diventi cooperativa.
L’ascolto può e deve diventare, in tutte le occasioni, un impegno comune, parte integrante del nostro modo di interfacciarsi agli altri, creando la necessaria dialettica interna. Agire in vista del bene comune è lo scopo di un gruppo come il nostro, e questo deve essere visibile sia all’interno che all’esterno.

I gruppi dei 4 passi che lavorano per un progetto comune, avente come obiettivo la ridefinizione “continua” del nostro modello di scuola, calato nel concreto dell’azione quotidiana, devono essere gruppi profondamente cooperativi. Gruppi (plurale) che diventano gruppo (singolare) quando cercano e costruiscono interrelazioni, visioni di sistema, non settoriali. Io credo molto nel lavoro che può fare l’equipe 4 passi per costruire dal concreto un pensiero nuovo, ma serve cooperazione a tutti i livelli, per essere credibili. È fondamentale dare spazio sia alle specificità (come insegno lingua, storia, matematica, come valuti, come gestisco le difficoltà che ho nella mia classe…) ma anche alla visione trandisciplinare come elemento di cooperazione. Le due visioni devono integrarsi in un progetto di scuola emancipatrice. Avere in testa come idea guida il “fare scuola”, i problemi veri e quotidiani di chi lavora nella scuola, è un buon punto di partenza perché coinvolge e alimenta il confronto, l’uso della parola.
La condivisione ha bisogno della conoscenza, la conoscenza della comunicazione.
Ci stiamo spendendo in questa direzione e vogliamo che il processo avviato continui.
Quindi vi offro questo spunto per le discussioni nei vostri gruppi: siamo veramente “cooperativi”? Il nostro è veramente un movimento che mette alla base la ‘cooperazione” come valore fondante? Che cosa facciamo già e/o che cosa dovremmo provare a fare nei nostri gruppi e nei momenti assembleari per ridare significato a questa parola?


Scriveteci….
nazionale@mce-fimem.it