Una cabina di regia del Ministero dell’Istruzione a servizio dei bambini e delle bambine: è ciò che manca per dare unità al sistema e garantire, con la stabilizzazione degli organici, la piena funzionalità alla scuola dell’infanzia, un ponte tra mondi da unire per lo sviluppo sociale.
Un passo in avanti è stato fatto con l’istituzione nel 2017 del Sistema integrato di educazione e di istruzione per le bambine e per i bambini dalla nascita fino ai sei anni in termini di infrastrutture culturali per l’istruzione e l’educazione.
Il Coordinamento per le politiche dell’infanzia e della sua scuola* ne ha riconosciuto la finalità: garantire pari opportunità di educazione e di istruzione, recuperare spazi di educazione e di cura, di relazione e di gioco a tutte le bambine e bambini, nella consapevolezza che i primi anni di vita sono fondamentali per sviluppare potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento basilari per il successo formativo a partire dagli interventi scolastici successivi.
Il decreto legislativo 65/2017 ha previsto anche un piano di azione nazionale pluriennale, modalità e tempi di attuazione nei limiti della dotazione finanziaria del Fondo pluriennale ad hoc.
Tuttavia, l’avvio di uno studio del Coordinamento sta mostrando i limiti delle scelte fin qui compiute nel triennio 2017-2019 dalle Regioni. Scelte sostanzialmente tendenti a conservare ciò che è già a sistema.
In molte Regioni i fondi vengono assegnati ai Comuni usando come parametro il numero delle bambine e dei bambini già iscritti, senza incidere sulle disuguaglianze, le barriere territoriali, economiche, etniche e culturali che, in termini di concrete opportunità educative, segnano profonde differenze tra i centri e le periferie delle città e soprattutto tra il nord e il sud del Paese.
Basti pensare alla diffusione di voucher e sussidi per le famiglie, segno di una logica conservativa che, pur potendo rispondere a principi di utilità, segna il parziale fallimento della legge stessa.
La destinazione dei fondi dallo Stato alle Regioni, così come la definizione dei criteri di utilizzo inadeguati, hanno favorito la parcellizzazione delle iniziative, a cui l’assenza di una vera regia in capo al Ministero dell’istruzione ha contribuito ampiamente. E l’avvicendamento al MIUR di ben quattro ministri ha ulteriormente marcato l’assenza o l’inadeguatezza degli interventi che avrebbero dovuto accompagnare la costruzione del sistema integrato 0/6.
Di fatto, a tre anni di distanza dal decreto, poco è cambiato nei territori dove più consistenti restano le povertà educative.
A compromettere ulteriormente la reale possibilità di implementazione del sistema integrato 0/6 resta la mancata risoluzione del precariato degli insegnati. A maggio 2019 erano ancora 26.295 i docenti precari, nonostante il numero dei posti vacanti e disponibili per assunzioni a tempo indeterminato, con migliaia di posti in organico di diritto ancora scoperti.
L’assenza di continuità educativa, l’interruzione del dialogo tra insegnanti, con gli educatori, le famiglie, il territorio, mina alla base qualsiasi progettualità possibile non solo per la scuola dell’infanzia statale, ma per lo stesso sistema integrato 0/6. Oltre che ridurre profondamente gli spazi di esercizio professionale (soprattutto nei termini di appartenenza a una comunità e a un progetto pedagogico) per quegli insegnanti costretti a esercitare il “mestiere” nella costante incertezza del posto di lavoro.
La precarietà crea forti disagi sul buon funzionamento delle scuole, così come i tagli agli organici dei collaboratori scolastici, la cui presenza è di vitale importanza per le azioni di primario supporto alla didattica.
Nella scuola statale, la cronica insufficienza di posti a tempo indeterminato continua a ridurre la possibilità di tantissime bambine e bambini di accedere alla scuola dell’infanzia, perché le scuole non sono in grado di accogliere tutte le richieste di iscrizione. A ciò si aggiunge il fatto che in molte situazioni, l’offerta formativa viene costretta in un modello organizzativo “ad orario ridotto” che, comprimendo i tempi educativi, indebolisce il progetto pedagogico e non risponde all’esigenza di recuperare spazi di presa in carico dei bambini là dove le famiglie, i contesti di vita, soprattutto nei territori più deprivati, non sono in grado di garantirli.
Ed è proprio in queste aree del Paese, dove maggiori sono le povertà educative, che l’assenza o l’esiguo numero di sezioni statali di scuola dell’infanzia non può essere sopperita dalla possibilità di accesso alle scuole paritarie, per i costi a carico delle famiglie: una condizione di esclusione e di discriminazione per chi non ha mezzi economici ed è costretto a rinunciare a qualunque tipologia di offerta educativa.
Il Coordinamento delle politiche per l’infanzia, nel ribadire che la scuola dell’infanzia è un segmento di fondamentale importanza nel sistema integrato di educazione e di istruzione per le bambine e i bambini da zero a sei anni, e un ponte necessario per la realizzazione del progetto formativo per le pari opportunità di successo per il prosieguo degli studi e per l’apprendimento lungo il corso della vita, sottolinea la necessità di interventi che le consentano di “esistere” in maniera equa su tutto il territorio nazionale e di funzionare a pieno ritmo ed al meglio.
Incrementare il numero di sezioni, garantire il tempo pieno a tutti, risolvere il problema del precariato degli insegnanti (prevedendo procedure concorsuali immediate e straordinarie), aumentare il numero dei collaboratori scolastici sono misure senza le quali l’intero impianto delineato nel decreto n° 65/2017 è destinato al più totale fallimento.
* Il Coordinamento nazionale è formato dai rappresentanti delle cinque storiche associazioni professionali AIMC, ANDIS, CIDI, MCE, FNISM e le quattro maggiori organizzazioni sindacali FLC- CGIL, CISL SCUOLA, Federazione UIL SCUOLA RUA , SNALS-CONFSAL